La fine della guerra a Ripabottoni

La mattina di Sabato 24 Luglio 1943 Benito Mussolini, perduta la speranza di sganciarsi dalla Germania, si rifugia nel gran consiglio per chiedere aiuto e pareri e soprattutto una via di uscita dalle responsabilità della sconfitta. I membri del Gran Consiglio lo condannarono con 19 voti su 28 membri presenti.
La sera del 25 Luglio, Zio Luigi Nardone, tornando dal paese, appena imboccò la via della "Macchia Seppuccio", dal Colle Cecilio gridò a babbo che con la "vatterèndini(je)" (Batti granone - sorta di mazza) stritolava le spighe di grano che la pietra dell'aia aveva lasciato integre.
- P'ppì. Pìppì?… M'ss'llin' jè kèdut' (Peppino, Peppino?… Mussolini è caduto)
Babbo lasciò l'aia e gli corse incontro. Voglia di sapere. Voglia di vivere con gli amici la gioia da anni sognata.
Pure noi bambini vi partecipavamo senza sapere il motivo. Da tutte le masserie, come per miracolo:
- Mussolini è caduto!
- A tess'r'! N'n' ch' shta kiù a tèss'r'. Mach'nat' tutt' u ran' k' v'lèt' (La tessera! Non c'è più la tessera. Macinate tutto il grano che volete!).
- Il fascismo non c'è più.
- A f'rnut' d' mègnè a crikk' d' Mèrkucch' (Ha finito di mangiare a ufo la cricca di Marcuccio marito di Luigella)
- Fèti(je)! (Lavora!)
- Fatiè… Kèn' d' kièzz'. (Lavorare… Cani di piazza)
E dalla masseria di Nèrdun' (Nardone), V'ch'nzin' (Vincenzino) a squarciagola:
- E' f'nut', è f'nut', è f'nut' u tèmp' K' u k'mènnièv'. (E' finito, è finito, è finito il tempo che tu comandavi.)
- Iè m'nut', iè m'nut', iè m'nut' u tèmp' k'nu' k'mènnam' (E' venuto, è venuto, è venuto il tempo che comandiamo noi), u tèmp' di kèv'ch' 'n cul' e p' kill' kint' è 'tté. (il tempo dei calci in culo e per quelli come a te).
- Iè f'nut', iè f'nut' (E finita, è finita)
- Siamo liberi!
Urla nel bosco Peppino Nètièll'.
Per la prima volta mi sono messo a gridare. Piangevamo tutti di gioia. Dopo una lunga pausa:
- Chi fa il contadino è protetto da Dio. - Dice Z' Col', padre di Peppino Nètièll'. Da quel momento non parlerà più.
Sulle aie si scatenò il delirio. Sulle "guadagne" da "ventilare" esplosero i primi balli.
Le strade, le piazzole rigurgitavano di persone che correvano di qua e di là senza una meta. Molti avevano preso la via del paese. Molti a piedi; pochi in sella alle bestie da soma: cavalli, muli, asini…
Le donne materializzavano la loro gioia ballando alla gitana. Che importanza aveva se i cavalieri avevano una certa età?
Su per la via del Sanguine, solo eccezionalmente vedevi individui che, da soli, rincasavano. Tutti cercavano un contatto con il mistero della pace.
Per lo più piccoli gruppi, che creavano flussi in movimento.
I ripesi senza volerlo e senza saperlo, si erano uniti all'entusiasmo popolare che aveva travolto completamente le organizzazioni del Partito Nazionale Fascista.
"Tutte le piazze d'Italia, il 25/26 Luglio furono teatro di scene di entusiasmo indescrivibile.
A Ripabottoni la campana della "Madonna" - quella grande - la sola rimasta nella finestra del campanile, suonava a distesa. [Le altre erano state prelevate dalle loro finestre ed ora stavano allineate a lato della porta du Kampèna:r' (del campanile) in attesa di partire per le fonderie, dove sarebbero state trasformate in canne di cannoni. Prima delle campane erano partite le "vere" degli sposi, l'oro e il rame delle case..].
E con la campana nostra, suonavano a distesa, quella di Morrone, di Provvidenti, di Casacalenda
I ripesi uscirono nelle strade.
La piazza ri riempì in un "ohi!".

Esultanti acclamavano al re e a Badoglio. Quelli che alla guerra avevano dato "Hiur' d'uòm'n' (Fiori di uomini)" e quelli che ci si erano arricchiti, tutti chiesero a gran voce pace e libertà.
Molti bruciavano ritratti di Mussolini e i simboli fascisti vennero calpestati e trascinati per le strade da gruppi di persone tumultuanti. Però nessuno scontro fisico.
Gli uomini cantavano antichi inni alla Patria. Le donne piangevano e si abbandonavano tra le braccia degli uomini, affamate di baci e… Michelina "da Pish', sul balcone di Donna Giustina, tra risate e boccacce dava saggio di streap-tees integrali.
- Peccato che non sia Alida Valli! - disse Don Nicola.
Dalla casina (il club dei notabili) "a mak'n' pèrlant' " (la radio), collegata all'altoparlante, collocato sul davanzale della finestra della sede del circolo culturale dei "galantuomini", diffondeva, con gli inni politici , musiche che creavano una sorta di incantesimo con struggente violenza.

Da più parti:
- E' vero! E' vero.
- Le campane torneranno sul campanile!
- Niente bronzo per la patria!
- Se le campane sono rimaste ai ripesi lo dobbiamo a don Beppe Barbieri.
- Viva don Beppe! Viva don Beppe.
- Intanto l'oro ce l'ha fregato.
- A me la vera e la collana.
- Solo?
- Io tutti i ricordi di famiglia -
disse la maestra Musurago alla collega Donna Rosa.

La maestra Michelina Di Fabio non tratteneva le lacrime.
A Ripabottoni era l'unica che avesse sposato il fascismo "anima e core".
La sorella, seduta al suo fianco, non trovava le parole che potessero consolarla.
Don Michele camminava tra la gente sottobraccio a Don Peppe Barbieri. Incontratisi nei pressi del negozio di Patota, pare che don Michele gli avesse detto:
- Don Pè, èskut'm' :tuóll' u Fash' è r'punn'l'. N'jè kiù u tèmp' sì: .
Vid' n'ccò a kièzz'? Par' n'òv'. Ann'èpert' l'uókki(e)
. (Don Peppe, ascoltami, piglia il Fascio e mettilo via - da parte. Non è più il tempo suo. Vedi un po' la piazza? Sembra un uovo - per indicare che era stipata come un uovo -. Hanno aperto gli occhi.)
Don Peppe era stato segretario del Partito Naziola Fascista da una vita.
Nonostante avesse tanto navigato, si portava dietro la formazione ricevuta nel seminario per preti dove aveva frequentato il ginnasio.
Pensò bene di levarsi il distintivo del partito dall'occhiello.
La moglie, vedendolo uscire, gli aveva gridato dietro: - Peppino, Peppino, rimani in casa. Non sono uomini. Bestie feroci! Non voglio essere la vedova di un martire.
Ma Don Peppe non aveva niente da temere. Della carica di Segretario del P.N.F. se n'era servito per aprire gli occhi a chi, per ignoranza si ostinava a tenerli chiusi. Spesso dal tavolo della Esattoria, ripeteva agli amici fidati:
- Il fascismo è un cane che dorme. A svegliarlo sono guai per chi lo desta.
Nemmeno Don Michele era riuscito a scoprire cosa pensasse del fascio. Quel giorno e quella notte la sua presenza era graditissima, specie ai contadini che era riuscito a convertire alla "Fondiaria Assicurazioni".
In poche ore il fascismo era sceso così in basso nella estimazione generale, che la sua caduta produsse più sorriso e comicità che feroci sdegni.

Ma non nell'animo della fascinosa "pasionaria" Slava, tra i ripesi da due anni.
Dal giorno in cui era arrivata sotto scorta: oggetto di pettegolezzi e di calunnie, più o meno velate, più o meno gravi.
Io la ricordo bellissima!
Dicevano che nel suo paese, dove militava nei gruppi "Giovani per Tito" fosse stata testimone di numerose tragedie.
Le giovani ripesi ne parlavano a denti stretti. Per chi la conosceva - ed erano in molti -: "una giovane carica di vitalità e di voglia di vivere. Una sola speranza: tornare sulla sua terra "finalmente libera".
Nell'attesa leggeva Dostoevskij e Gorkij; Gramsci e Trotzkij.
Si sussurrava pure che fosse fidanzata con un giovane laureando in giurisprudenza. Un giovane tanto intelligente, quanto "scapato" (senza testa).
"Chissà che non riesca a mettergli la testa a partito" dicevano quelli che conoscevano tutti e due.
La ragazza traversò la piazza, coprendo con la destra il seno, debordante dal cardigan rosso carminio, attillato.
Indossato a posta per mettere in risalto i fianchi - stupendi - e il nero lucente della gonna a campana. Nu cap' a R'pètt' (All'inizio di Via Ripetta) si girò. Guardò la piazza. Sparve.
Nei suoi occhi un lampo che nessuno seppe interpretare.
L'altoparlante diffondeva il "Tango delle Capinere".
Peppino Patota, seduto davanti al negozio ascoltava con suggestione esotica… quella magia fatta di ritmo ma anche di mistero e di peccato.
"Za F'lomèn' (Zia Filomena)" la moglie:
- U padr' iè partut' da: Iugoslavia p' v'nì jèkk' e shta k' jess', a figl(ie) jè sèmp' na figl(ie), l'ann ecchis' na fr'ntiè:r'. Da cuann l'a seput'… n'n ch' shta ka kocch'. T' tèmend'… ma kind' e cuann' n'n t' véd'… (Il padre è partito dalla Iugoslavia per venire qui e stare con lei, la figlia è sempre una figlia, lo hanno ucciso alla frontiera. Da quando l'ha saputo… non ci sta più con la testa. Ti guarda… ma come se non ti vedesse…)
Poi la radio trasmise Vipera, Balocchi e profumi, come una sigaretta…

Zè Raffèièl' a lèttar' e zè Angh'lucch' da Vol'p (Zia Raffaella la lattaia e Zia Angeluccia della Volpe) che erano state a Roma in occasione del raduno premio delle donne più prolifiche, Mussolini in persona le aveva ricevute, stavano in palla, chiedendosi che male avesse fatto Mussolini.
Lo ricordavano a petto nudo, ballerino accaldato, tra le mamme d'Italia: - Per merito vostro otto milioni di baionette difendono i confini della Patria e il vomere riluce nei campi.

L'alba del 26 Luglio, al Nord, illuminava le rovine d'Italia; a Ripabottoni un popolo festante in piazza e nella campagna.
Pà vi' da D'fènz' (Per la strada del Bosco Difesa) Marcuccio, che per vent'anni aveva fatto "u r'cu(e)ttar' (il ricottaio)" attorno agli uomini del P.N.F, sentendosi compromesso, si allontanava dal paese.
E mentre scarpinava tra i ciottoli e la polvere, rischiando di finire "ki frosh' 'mmèz' di prèt' (Col naso in mezzo alle pietre) urlava agli assioli e alle volpi: - L'uogl(ie) d' rich'n' 'nnu vuogl(ie)! Mèrkucch' 'n'nzu'vèv (L'olio di ricino non lo voglio! Marcuccio non se lo beve!).
D'improvviso s'era ritrovato disoccupato e senza domani.

Testo: Giuseppantonio Cristofaro
Programmazione HTML e fotografie: Walter La Marca

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