RipAmici 2000

1945

Mio cugino, M'nkucch' 'Ngh'kkill', era Alpino della Julia.
La Julia faceva parte dell'ARMIR.
Un'Armata, questa, equipaggiata per combattere in montagna…
Ma dovette combattere in pianura e per di più in autunno e in inverno, con un clima freddissimo e un terreno coperto di neve molto alta.
Dal mese di dicembre del 1942 i genitori non ricevevano notizie.
L'ultima lettera, spedita alla fine di novembre del '42, parlava di un attacco imminente.
Ma la lettera era stata censurata per l'ottanta per cento.
Era stato lasciato da leggere:
"Caro padre e famiglia
Io……………..così spero sentire di voi.
Baci a tutti".
La località l'aveva scritta sotto il francobollo. Vezzo, questo, comune a tutti i soldati al fronte.
Subito appresso alla parola "Russia": "O freddo!".
Quanto basta per gettare una madre nella disperazione.
Il marito aveva un bel dirle e ridirle.
- Io nella guerra 15/18 per mesi sono passato davanti alle postazioni nemiche e non sono morto.
Altri nelle trincee sono stati raggiunti o da schegge o da pallottole vaganti e sono morti.
- E che vorresti dire con questo?
- Che il silenzio non significa nulla.
Di certo non è una notizia di morte.
Può.
Però può essere vero il contrario.
Preghiamo.
E lei sempre la stessa frase:
- "Kagn'm' a kocch'. I muort' shtann' zitt'. -
Allora mio zio prendeva "u dui(e) bòtt'" e andava a fare la posta alla volpe, tra le "morge" dei Castellucci o tra i ruderi delle masserie "di 'Ngh'kkill'".
I parenti s'erano messi l'anima in pace. Ma alla madre continuavano a sussurrare solo parole di speranza. Poi, fra loro: "pov'rèddi(ie)" tuoll'l' a spranz' è l'i cchis'.
26 di agosto, primo pomeriggio.
Dice "'ngopp' a viènov' du Sangu(e)n'" Pietro, "nu guagnèshtron' di 14/15 anni" urlò:
- Ziè-Lì! Zia Michelina! Jè r'm'nut' M'nkucch'!…M'nkucch' jè r'm'nut!.
Una granata avrebbe fatto meno scalpore nella valle di Torrezeppa.
Tat' smise di arare e si precipitò dalla sorella.
Solo il tempo di comunicarlo a mamma.
- R'zil' a kèsell' e shign' pur' tu.
Zio Nicolino Verafridd' e Z' Luiggh' Nerdon' riempirono due damigiane di vino e calarono dall'amico delle ore gaie.
Zia non riusciva a organizzarsi, tanto era l'agitazione e la paura che tutto si risolvesse in un sogno di pessimo gusto.
I due fratelli di M'nkucch' - Peppino e Jucch' - corsero incontro al fratello.
Anche noi - bambini - partecipavamo all'attesa, sostando ora dalle donne, ora dagli uomini. Quasi sempre sotto il gelso rosso, quattro passi più in qua della "paglièr'".
- Mank' èsp'ttass' k' nèshéss'
Disse zio agli amici.
- K'mpà, era tempo!
- Già.
Avevamo da poco finito di cenare.
Dalla stalla: una mucca cominciò a strofinarsi contro lo steccato.
Le giumente, a raspare con gli zoccoli sulla lettiera, lanciate all'inseguimento chi saprà mai di che cosa…
In tutti la voglia di sentire…
E nell'attesa stavamo zitti. Il lume ardeva sul camino
… ce ne sarà da dire.
Tre anni.
Mio cugino cominciò.
- L'inferno.
In un solo giorno la mia compagnia è stata decimata: di 200 ne siamo rimasti 36.
Altri cadranno nella neve per sfinimento.
Vennero giorni molto freddi e una notte di tormenta quasi perdevo le mani per congelamento.
Mi ero levato i guanti per manovrare meglio il moschetto senza più trovarli.
Camminavamo non ricordo da quando, alzai gli occhi per vedere se apparivano le montagne, sembrava di essere sempre nel medesimo posto.
Calzavamo scarpe chiodate, con i piedi avvolti in pezze di tela.
I muli con i loro carichi affondavano nella neve.
I russi erano forniti di slitte, trainate da cavalli e calzavano stivali di feltro.
In più i nostri automezzi erano forniti di lubrificanti non adatti al grande freddo. Partecipammo all'avanzata nell'Ucraina orientale
combattendo tra il Donec e il Don. L'ARMIR, poi, fu schierata sul Don a monte dell'ansa che avvicina il corso di questo fiume a quello del Volga.
Qui abbiamo respinto l'offensiva russa alla fine di agosto.
Rimanemmo schierati su Don lungo un fronte di 270 Km.
Fino a quando siamo stati investiti dalla grande offensiva russa, tra l'11 dicembre '42 e il 31 gennaio '43.
Attaccati da forze superiori per numero e per mezzi, costretti a difendere una linea troppo lunga con uno schieramento troppo sottile
Siamo stati costretti a cedere, subendo perdite grandissime.
Travolti, ci imbarcammo in una ritirata disastrosa, insieme a reparti tedeschi, ungheresi e rumeni.
Abbiamo marciato a piedi per giorni e giorni.
Non chiedetemi per quanti chilometri.
Centinaia.
In questo andare alla cieca avevamo perso la cognizione del tempo.
… Si camminava tra montagne di morti; di morenti, che, disperati, invocavano aiuto.
… Uomini?
Bestie braccate.
Quanto sono i lupi. E pure se un cucciolo arranca dietro il branco, il capo rallenta…
… noi si andava.
L'amico ti è caduto a lato?
- Aiutami…
Tu lo senti, ma continui a camminare.
- Uccidimi!
E pure non cessi di essere uomo.
Stringi la lingua tra i denti e continui a camminare.
Se ti fermi, il minimo che ti possa capitare: la morte per congelamento. Una lunga agonia tra la neve.
Come cadi e dove cadi rimani…
Ne ho visto di giovani come "Ecceomo" con la canna in mano.
Erano lì, lungo la strada…
Fatti di ghiaccio. Segnavano il cammino, come i termini di confine tra due campi.
Non saprò mai per quanto.
Forse per l'eternità. -
Accese la sigaretta e, preso l'attizzatoio, dal fondo del camino cominciò a stuzzicare i tizzoni, che mandavano nuvole di "vecchie" su per la cappa.
Poi, con lo stesso distacco:
- La neve scende di giorno e la notte il cielo stellato.
La luna la senti nella tua ombra. Poi alzi gli occhi e la vedi lontano.
E intanto senti "che cad(e) a s'rén'". U fredd' ti entra nelle ossa.
E il capitano che ti urla nelle orecchie "Movetevi! Movetevi!".
E allora cammini, cammini, cammini… "u hièt' t' s' ghiacch' 'mbacch' a vokk'".
"E sient i skarp' p'cch'kèt' 'mbacch'i pied'.
Si senzè cav'zétt'.
I cav'zétt' 'n'i ti. N'llì t'nut' mèmè. P' cav'zétt'! Na pèzz' l'nzòle è 'ngòpp' a jèss' i p'dèlin' senzè kal'kagn' e senz'è pont'.
I pèzz' dè pièd' mmèz du ghiacch' d'vent'n' ghiacch'.
È 'rrèt'etté gent' k'èllukk', k' kiegn', e t' kièm' p' nom'".
'Nkór' mò i sènt'… Ellukk'. Mogli(e)m' z' svégli(e), m' véd' ki mèn 'mbacch' i rékki(e)
… pov'rè ggènt'.
E il capitano che ripete:
- camminate. Non c'è tempo da perdere per tendere la mano a chi è caduto. Ancora un po' ed è la libertà.
Ed arrivare al punto indicato e veder il nemico che ti accoglie con il crepitio della mitragliatrice.
E tu costretto a tornare indietro.
Per limitare altra via.
Per constatare che pure questa ti porta a tiro dei nemici.
Nord
Sud
Est
- E' la fine.
E per la prima volta invidi la sorte riservata ai morti.
"t' siènt' nu sorgh' dént' u mèstrucch'"
Cosa non daresti…
… per non essere mai nato!
Sei solo a lottare.
E "là 'ngòpp'" la mitragliatrice non smette di vomitarti fuoco torno torno.
E senti che lo fa perché gode nel vederti soffrire.
E dopo aver tanto camminato, ti rendi conto che non hai percorso più di 20 metri.
Hai fame
Hai sete
Mordi la neve.
Illudendoti di mandare qualcosa giù, nelle budella che urlano.
E quanto più triste è la sofferenza, il ricordo di mamma, di tata, di mio nonno che "'ngopp' a l'shèt' n' m' v'lév' lessà kiù…"
"N'pó! N' pó… tiénc u cor' kius'.
Attent'atté…"
E m' s'è shtrétt' fort' fort'…
… r'm'nì e n'n tr'varl'
… m'è kedut' u ciel' 'ncòll'.
E poi… e poi.
La pazzia che si trasforma in eroismo. Poco lontano, dietro un albero, forse una betulla, la mitragliatrice continua a vomitarti addosso piombo rovente.
Uno di noi. Uno che tu non stimi…
Esce dalla fila, aggira il mitragliere, lo raggiunge… e gli spacca il cranio con il moschetto.
E tu ti sorprendi urlare
- Èccid'l'… Ancora. Ancora!
Messa a tacere la mitragliatrice, riprendi la marcia.
E poi incontri il Don… placido, sereno che scorre lentamente.
Tu ti fermi. Ti specchi nelle sue acque. Lo senti amico.
E torni ad essere uomo…
Qui mio cugino s'è fermato. Noi ci guardammo in faccia, rendendoci conto che aveva detto tutto…
La tragedia era nei suoi occhi, nelle sue orecchie… Poi, a mo' di conclusione:
- Nel mio cuore… il posto migliore è per loro.
Per quelli che ho lasciato, nella steppa.
Mia zia si alzò.
Riempì un bicchiere di vino, al figlio
- M'nkù, mamm'. Viv'! -
E padrino, spinto dalla voglia di sdrammatizzare, intonò
"La Calabrisella"
E nella notte, sacra per il magismo che si portava dietro, esplose il canto dell'amore.
Cantavano gli uomini, cantavano le donne, cantavamo pure noi.
Mio cugino, immobile:
la testa sul petto, le mani puntellate contro il bordo della tavola.
Gli occhi fissi sulla fetta di melone dalla buccia gialla, che la madre gli aveva dato.
Per lui non c'era Calabrisella. Non c'era amore…
Si portava dentro lo spavento di vivere.

Erano partiti assieme, mio cugino e u figli(e) Sepp' L'u(e)ggitt'.
La sera avanti si erano dato l'appuntamento nei pressi "da skèléll' du kampènar'".
Mio cugino, cattolico; l'amico, protestante.

- Sott' a guerr ch' shta nu sol' Di(ie).
U kièm' k' tantè - nom'r', ma d' Di(ie) ch' n' shta un sol'. -
Dopo tre anni son tornati al punto di partenza.
"Ch'èm spèrtut' u pan è u sonn'…
S'èkk' mòr' i(je) tu m'ebbriècch'; r'puort è mamm' kull' èbbracch'; s'èkk' muòr' tu, i(je) t'èbbracch' e r'port è mamm't' kull'èbbracch'".
Kusht' gh'rèmènt' chu sém' fatt' na nott' d' lun'… lungo il Don.
V'dèvam' a mort' k'll'uokki(ie)…
Shtèvam èccu(e)zzèt' ent'_è_na buk' d' jacch' … kind' i ch'll'cchitt' nu nid', k'èspètt'n' a mamm'.
E nei pressi del campanile si danno l'addio da soldati, per rivedersi - Dio sa quando - da civili.
L'amico di compare raggiunse la masseria, di là del Rio Maio.
La madre stava sull'aia. "Vèttév' i matt'l' di chi-ch'" dando le spalle alla strada.
Il figlio scavalcò la siepe e le si avvicinò con passo felpato.
Quando le fu vicino, le posò le mani sulle spalle; e:
- Mamma! - urlò.
La donna girò la testa. Lo guardò.
Un attimo di smarrimento. Poi … Dio, il respiro …
Aprì la bocca. Nessuno saprà se per parlare o tirare su il fiato.
Strabuzzò gli occhi e cadde bocconi.
Morta.
Rimase raggomitolata sulla paglia di ceci. Le mani strette a pugno contro il petto. Negli occhi sbarrati il terrore della gioia.

Testo: Giuseppantonio Cristofaro
Digitazione dati: MariaLucia Carlone
Programmazione HTML: Vittorio Sauro & Walter La Marca

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