"La Calabrisella"
E nella notte, sacra per il magismo che si portava
dietro, esplose il canto dell'amore.
Cantavano gli uomini, cantavano le
donne, cantavamo pure noi.
Mio cugino, immobile:
la testa sul petto, le
mani puntellate contro il bordo della tavola.
Gli occhi fissi sulla fetta di
melone dalla buccia gialla, che la madre gli aveva dato.
Per lui non c'era
Calabrisella. Non c'era amore…
Si portava dentro lo spavento di vivere.
Erano partiti assieme, mio cugino e u figli(e) Sepp' L'u(e)ggitt'.
La sera
avanti si erano dato l'appuntamento nei pressi "da skèléll' du
kampènar'".
Mio cugino, cattolico; l'amico, protestante.
- Sott' a guerr ch' shta nu sol' Di(ie).
U kièm' k' tantè - nom'r', ma d'
Di(ie) ch' n' shta un sol'. -
Dopo tre anni son tornati al punto di
partenza.
"Ch'èm spèrtut' u pan è u sonn'…
S'èkk' mòr' i(je) tu
m'ebbriècch'; r'puort è mamm' kull' èbbracch'; s'èkk' muòr' tu, i(je)
t'èbbracch' e r'port è mamm't' kull'èbbracch'".
Kusht' gh'rèmènt' chu sém'
fatt' na nott' d' lun'… lungo il Don.
V'dèvam' a mort'
k'll'uokki(ie)…
Shtèvam èccu(e)zzèt' ent'_è_na buk' d' jacch' … kind' i
ch'll'cchitt' nu nid', k'èspètt'n' a mamm'.
E nei pressi del campanile si
danno l'addio da soldati, per rivedersi - Dio sa quando - da civili.
L'amico
di compare raggiunse la masseria, di là del Rio Maio.
La madre stava
sull'aia. "Vèttév' i matt'l' di chi-ch'" dando le spalle alla strada.
Il
figlio scavalcò la siepe e le si avvicinò con passo felpato.
Quando le fu
vicino, le posò le mani sulle spalle; e:
- Mamma! - urlò.
La donna girò la testa. Lo guardò.
Un attimo di
smarrimento. Poi … Dio, il respiro …
Aprì la bocca. Nessuno saprà se per
parlare o tirare su il fiato.
Strabuzzò gli occhi e cadde bocconi.
Morta.
Rimase raggomitolata sulla paglia di ceci. Le mani strette a pugno contro il
petto. Negli occhi sbarrati il terrore della gioia.
Testo: Giuseppantonio Cristofaro
Digitazione dati: MariaLucia Carlone
Programmazione HTML: Vittorio Sauro & Walter La Marca
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