La strada per Castellino

Inverno.
La macchina, un maggiolino nero, raggiunta la piazza che allora si adagiava tra la chiesa parrocchiale, il palazzo Cappuccilli (di Don Vittorio), "u spuort' della terra vecchia" ed una fila di case fatiscenti, si fermò.
Sèpp' a guardi(a) si avvicinò di alcuni passi...

L'ufficiale scese dalla macchina e l'aggredì: - La strada per Castellino!
Sèpp' a guardi(a), abbozzando un sorriso… - Non lo so, non esiste!
L'ufficiale, estraendo la pistola dalla fondina, la puntò e disse: - Io voglio la strada per Castellino!
- Oh, p' la Maiell' (Per la Maiella) - Disse Sèpp' alzando le braccia e rivolgendosi ai presenti - Ditegli che la strada per Castellino non esiste.
Intervenne Don Vittorio, il Podestà, uscito dalla Casina. Si avvicinò, si qualificò, tese la mano… il tedesco la ignorò.
- La strada per Castellino!
- La carrabile?
- Si!
- Non c'è strada per Castellino.
L'ufficiale gli mostrò la mappa.
- Guarda!
- La conosco. Ma non tutte le cose che stanno sulla carta sono vere.
Il tedesco urlò: - La strada per Castellino!
E Don Vittorio, anche lui con grinta, - Ho detto che la strada finisce qui!
Tra i due cadde il silenzio. Il tedesco lo guardava e non smetteva di dondolare la testa…
- La strada non c'è?
- No -
Rispose Don Vittorio.
L'ufficiale ebbe un guizzo negli occhi. Sotto l'arco d'ingresso della casa di Auriemma, si affacciarono Poldino, il professore, e il fratello Peppino, studente universitario.
L'ufficiale tese l'indice verso di loro, e, perentorio: - Voi, qui!
- Le cose si mettono male - disse il professore.
Peppino non rispose. Si avvicinarono solleciti. Due passi dai tedeschi si fermarono.
- Le mani sul cofano della macchina!
I fratelli obbedirono.
- Ma che fate? - Chiese Don Vittorio.
- La strada in cambio della loro vita.
- E' pazzesco!
- Don Vittorio cominciò a camminare avanti e indietro nervosamente.
L'ufficiale prese a spintoni i due giovani costringendoli ad andare verso la fontana.
I fratelli facevano resistenza e… a qualche passo dalla fontana, Don Vittorio sbarrò loro la strada e disse rivolto all'ufficiale:
- Non siate precipitoso, concedetemi un po' di tempo.
- No! Un quarto d'ora! Quindici minuti
- Rispose il tedesco glaciale.
- Bene. Quindici minuti.

La madre dei due ostaggi, nel frattempo, aveva raggiunto la casa di Don Michele.
- Don Michè… Don Michè, i tedeschi uccidono i figli miei…
Le mani aggrappate al portone. Don Michele uscì di corsa e giunto in piazza tra le urla dei presenti disse in dialetto:
- Che fate? Che fate, questi sono cristiani!
- Oh! Esserci pure un prete - disse l'ufficiale a don Michele - Bugiardo!
Don Michele, trafelato, si fermò a due passi distante. Lo guardò negli occhi e…
- Mi puoi piantare una pallottola in fronte. E' tuo diritto! Il diritto del più forte. Ma darmi del bugiardo, no! Capito?
- Ma che vogliono? -
Chiese Don Michele al Potestà.
- La strada per Castellino!
- Oh, Madonna! Pensavo a chi sa cosa.
- Stanno per scadere i 15 minuti! Li ammazzeranno
. - Disse Don Vittorio.
Don Michele rivolto all'ufficiale: - Io conosco la strada! Andiamo.
- Don Michele, tu sei impazzito! - Disse Don Vittorio - Uccideranno anche te.
- Lasciami fare. - e poi rivolto alla folla - E vu' na' cchies' (E voi in chiesa a pregare).
Ai tedeschi : - Andiamo.
Vedendoli avvicinarsi alla macchina: - No. Non con la macchina. A piedi.
- A piedi?
- Si, a piedi.
E si avviò. Un tedesco tolse la sicura all'arma e… Don Michele si girò ancora una volta e ai presenti: - Non fate pazzie.

Gli altri due tedeschi si incamminarono con Don Michele lungo Corso Garibaldi. Passarono davanto al palazzo di Don Damaso, sfiorarono il frantonio di Don Ferdinandino, ritta sulla soglia di casa, la moglie di Raffeèl' di Còrs'
- Don Michè, 'mmbè? (Don Michele, cosa succede?)
- Ch' fèchèm' quatt' pass' (Facciamo quattro passi).
Costeggiarono l'immondezzaio e scesero verso il ponte della costa del Medico. Una volta sul ponte, Don Michele si fermò:
- Ecco. Questa è la strada per Castellino! Altra strada non c'è. La strada segnata sulla mappa è una strada in costruzione.
I tedeschi, guardandosi intorno, si resero conto che altre strade effettivamente non c'erano e Don Michele, tirando fuori una bottiglietta di vino che, provvidenzialmente, aveva nascosto in una delle tasche della tonaca:
- Ne volete? Io una bevuta me la faccio. Serve a asciugare il sudore.
- E a darti coraggio. - Disse il secondo tedesco che sino a quel momento non aveva parlato.
- Allora tu?
- Si parlo e capisco l'italiano. Ho studiato a Firenze.
- E questa è la riconoscenza… Uccidete chi vi ha fatto uomo.
- Reverendo… è la guerra.
Don Michele gli porse la bottiglia: - Bevi! Se hai studiato a Firenze saprai che da quelle parti non si fa niente senza bagnarlo con il Chianti. - Già…
Risalirono in paese. La piazza era deserta, solo il Podestà, gli ostaggi e il tedesco di guardia. Tutti gli altri in chiesa.
L'ufficiale al Podestà: - Sono liberi!
I fedeli si precipitarono fuori dalla chiesa e prima che potessero aprire bocca, Don Michele ammonì:
- Huègliù, kiss' sann' u 'talian' miegli(e) d' vu. Cu(e)c't'v' a vòkk! (Ragazzi questi - i tedeschi - conoscono l'italiano meglio di voi. Cucitevi la bocca.)
Poi rivolto al Podestà: - Vittò, riportali a casa.
Don Michele rimase alcuni secondi in silenzio, poi: - Tièng' che' fa' (Ho da fare).
Salutò i tedeschi ed entrò in chiesa.

Testo: Giuseppantonio Cristofaro


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