Agosto 2002 I LUOGHI DELLA MEMORIA "Diario di bordo" - 2° frammento |
Anche quest'anno, come di consueto ormai da diversi anni, ho avuto la fortuna e il "privilegio" di ritornare nella mia amata e vecchia Ripa, per un periodo di riposo e di abbondanti libagioni.
Le forti sensazioni, come al solito, hanno pervaso il mio animo esule e viandante dinanzi all'estasiante dolcezza della mia terra, che non finirò mai di amare e di scoprire nella sua connaturata bellezza.
Ripabottoni è lì, immobile e pure inafferrabile, come se appartenesse ad un emisfero ancora tutto da scoprire.
Si staglia dalle verdeggianti colline (sì, perché quest'anno è piovuto molto!), con inusitato ed inconsueto splendore, nella cornice surreale di questa "bizzarra" estate 2002.
Ripa è lì con le sue contraddizioni e con le sue miserie; Ripa è lì con la sua tristezza, come fosse agonizzante; Ripa è lì con la sua tenerezza e il fiero cipiglio di chi, nonostante le asperità, non vuole demordere; Ripa è lì con le sue drammatiche ferite prodotte negli anni e mai sanate a causa di un "becero qualunquismo"; Ripa è lì con la fierezza e la schiettezza della sua gente, che sa aspettare con speranza ed amore tempi migliori; Ripa è lì con le sue poliedriche questioni di "facciata"; Ripa è lì con la sua realtà nuda e cruda che accoglie tutto in eguale misura; Ripa è lì e non chiede nulla, ma ti infonde una quiete interiore di sentimenti che sono comparabili soltanto alla dolce "leggerezza dell'essere".
Tutto questo è Ripa all'occhio di un romantico viandante. I pochi residenti rimasti, ricchi di giovialità, mettono a proprio agio chiunque apprezzi la semplicità e la schiettezza che promana da questa terra. Ripa è il particolare di un contesto generale dell'amabile "terra molisana", che in questa occasione, insieme ad altri innamorati, amici e amiche di questa terra abbiamo percorso in lungo e in largo, scoprendo dimensioni di inusitata bellezza, resti di una civiltà antica che rifulge di splendore. Luoghi ameni ed irti colli, radure e paesaggi solari, hanno colpito il nostro occhio attento con una natura a volte anche selvaggia, ma ricca e generosa di una bellezza esaustiva per chi ama la semplicità e la naturalezza. Ma il pensiero ricorrente, durante il dolce peregrinare, è sempre lì, ai "luoghi della memoria". Abbandonato come in un dolce sogno, vedo scorrere nei miei occhi le immagini di Ripa: via Fiumicello, La Terra Vecchia, la Ripetta, via Torrente Tocca, via Pietro Ramaglia, via Tufo, via Oberdan, via Sonnino, via IV Novembre, via Foggia, via Pergolesi, via Torino, largo Cairoli con la sua statuaria croce di pietra, corso Vittorio Emanuele, via Paolo Gamba, piazza Marconi, la fontana eretta con "il danaro del popolo", il monumento ai Caduti, il palazzo dei vecchi notabili ormai in estinzione (eppure resti di un passato ancora presente nell'animo di tanti!), il Municipio, la nostra grande Chiesa, luogo di culto, di preghiere, di celebrazioni rituali, e tante altre vie pittoresche che rendono il paesello di una soavità immensa. Ma Ripa non è solo questo, è anche contraddizione di ciò che potrebbe essere ed invece non è.
Potrebbe, se vi fossero dei progetti e degli obiettivi seri, essere luogo ameno socialmente accogliente, per molti uomini e donne con qualche primavera di troppo. Potrebbe avere servizi igienici pubblici, degni di tale nome, inseriti nel contesto cittadino in modo più consono e funzionale. Non voglio comparare questi attuali maleodoranti e sporchi, con quelli inesistenti di qualche decennio fa, quando bambini ed adulti avevano in comune un luogo pubblico a "cielo aperto" per fare i propri bisogni. Da allora, periodo del dopoguerra degli anni 50, di tempo ne è passato e ci siamo "emancipati" anche nelle strutture abitative; pur tuttavia, quello di avere "servizi pubblici igienicamente attrezzati e puliti, ritengo sia una esigenza primaria di una collettività civile. Molte persone potrebbero avere o forse hanno (?) progetti in grado di dare concretezza alla voglia di esserci, ma in questo ambito il mio dire sarebbe lungo e forse polemico.
E allora val la pena soffermarsi su aspetti, per così dire, meno "impegnati". Risalta all'occhio, un paese "pulito", spero duraturo, come non si ricordava nel recente passato, un paese sensibile verso forme culturali diverse ( val la pena ricordare la stupenda rappresentazione di balletto fatta dai Cosacchi del Don in piazza il 18 agosto u.s.), che la dicono lunga sullo spessore di crescita dei ripesi che vogliono perseguire scopi raggiungibili piuttosto che tendere a visioni grandiose.
Oggi, il paese è in movimento, si celebra la festa di San Rocco nostro patrono: le vie sono un pullular di gente nota e meno nota, che riconosco più per le sue sembianze, che per i nomi che porta; si respira la gaiezza del dì di festa, come se tutti fossero accomunati da un unico e mitico sentimento di gioia. Un dubbio però mi assale, è solo un elemento di facciata o è l'espressione verace di un sentimento schietto e sincero ?
Un velo di tristezza copre i volti di alcuni paesani estremamente sensibili per via di quanto è accaduto alla statua della Madonna dell'Assunta, alla quale per la seconda volta, mani ignote e sacrileghe hanno rubato l'angioletto che portava sulla spalla e quello posto alla base della statua stessa. Il valore economico della refurtiva non è di rilevante entità, ma ciò che disgusta è il gesto blasfemo degli ignoti che hanno osato violare il luogo di ritrovo eucaristico della comunità ripese, un gesto che offende i credenti e non, un segno dei tempi che mutano anche per Ripa e allora non posso che ricordare gli anni in cui si potevano lasciare tranquillamente aperti gli usci delle case. Erano tempi di "grande miseria" materiale, quando i sacrifici erano accettati fatalisticamente come il segno del destino, mutano i costumi e purtroppo con essi muta anche l'animo della gente. Ci auguriamo che l'episodio deprecabile rimanga un caso isolato, con la speranza che gli "angioletti" rubati alla statua dell'Assunta, possano ritrovare presto la loro originaria allocazione.
Nei giorni a seguire, come quelli precedenti alla festa di San Rocco, si sono svolte le sagre "mangerecce" e non, comunque, pur sempre un'occasione per stare insieme vicino ad una realtà più a dimensione d'uomo.
L'ultimo percorso della mia permanenza a Ripa l' ho compiuto doverosamente al colle dei "cipressi", il nostro Camposanto, che sovrasta le case del paese.
Mi sono addentrato nel luogo del "riposo eterno", aggirandomi fra i viali degradanti e pieni di fiori, guardando con tristezza, riprodotti sulle tombe, i volti di persone care conosciute. Con curiosità e rispetto mi sono soffermato a guardare le sembianze antiche di sconosciuti, sicuramente più numerosi. Volti di gente comune di cui la morte ha cancellato le differenze sociali, volti che mi riconducono alla memoria famiglie conosciute più per il soprannome che ne contraddistingue l'identità. Sentire anche in questo luogo un forte radicamento è per me il segno di una appartenenza, malgrado tutto insopprimibile.
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