Commovente, la difesa del Caruso.
Nella sua concisione e sincera partecipazione, testimonia più di ogni altra cosa la solidarietà, l'amore, la fratellanza che Arturo nutre per il prossimo; e insieme il suo senso dell'onore, della giustizia, della dignità dell'uomo.
Del Caruso sappiamo solo che è uno dei tanti miseri emigranti italiani e possiamo supporre che fosse arrivato da poco in America, visto che non parlava e non capiva l'inglese. Negli interminabili giorni trascorsi in cella con lui, Arturo ne aveva compreso le condizioni e aveva avuto modo di convincersi, se mai ve ne fosse stato bisogno, della sua innocenza, anzi della completa estraneità ai fatti. Occorreva davvero un cuore perverso per accanirsi contro di lui. Arturo spera, anche a costo della propria vita, di aprire una breccia nei cuori dei giudici, che si augura siano meno duri di quelli industriali miliardari. Accetta di morire innocente sulla sedia elettrica, pur di salvare un altro innocente, venuto come lui in America con la speranza di trovarvi una vita dignitosa.
E' evidente che l'assumersi di tutte le responsabilità non è un'implicita ammissione di colpevolezza: resta valida la ferma protesta d'innocenza: "Non è colpa di Ettor, né mia...". E' l'ultimo disperato tentativo di salvare un suo simile mettendo i giudici di fronte alle loro responsabilità. Ora, nel momento più solenne della vita, Arturo è guidato come sempre da autentica pietas (nel significato originario che ha il termine in latino).

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Nota n. 19 ad Appello all Giuria di Arturo Giovannitti
a cura di Corrado Paduano
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