Il diavolo, con il seguito, continuerà a scimmiottare la donna e il lavoro dell'uomo fino a quando arriverà il corteo degli "allevatori" con la "croce santa" annunciati dal coro:
"Evviva la croce / la croce evviva / evviva la croce / e chi la portò." Ripetuto con un crescendo continuo.
Il corteo della croce era preceduto dalle urla dei bambini che andavano e venivano facendosi luce con i tizzoni presi dal falò, che sprigionavano nuvole di "vecchie".
I diavoletti, fatte le boccacce con tutte e due le mani in faccia ai presenti, fuggono a nascondersi nella notte.
Il diavolo solleva la gonna sin sopra all'inguine ed esibendo il flagello gigantesco da asino, piscia in faccia al fuoco. Poi, come hanno fatto gli altri, fuggirà a nascondersi nel buio. Il corteo della croce, nel frattempo, giungeva vicino al fuoco sempre cantando l'inno: "Evviva la croce / la croce evviva / evviva la croce / e chi la portò."
Avrebbe compiuto tre volte il giro intorno al fuoco e solo alla conclusione del terzo giro si sarebbe fermato e avrebbero cantato l'inno a S.Antonio. ...(clicca qui per "L'INNO A S.ANTONIO")...
Poi sempre in corteo, raggiungevano l'altarino su cui era stata poggiata la statua di S.Antonio. Il crocifero infilava l'asta della croce nella colonna a lato dell'altare su cui stava la statua. E poi tornavano verso il fuoco confondendosi con gli altri. La gioia riprendeva come prima, più di prima. E quando la stanchezza si faceva sentire e, all'orizzonte schiariva l'alba, tutti facevano a gara per prendere un po' di quel fuoco sacro, per devozione. La cenere se la portavano gli allevatori. L'avrebbero sparsa nelle stalle e nei campi. Esorcismo contro la grandine, la siccità e le malattie…
I ggiun', k' z'ann' shtr'cu(e)lièt' a facch' ka tèrr'è rosch du R'mè(je), ku ggéss' ghiank' è ka f'limmi(e) du kul' du cu(e)ttrièll', z' tèmènt'n 'mbacch' l'un l'atr'. Kòl' L'rzitt' z' skav'z'. - Kòl', 'nnu fa' - i dich' Merìggh'sèpp', a spós'. - L'è:jè fà - r'sponn' Kòl' L'rzitt'. Z'avv'chin a u fók', z' fà a króch' é k'mènz' a kamm'nà 'ngòpp' i kar'vun', k'u Mashtr' d'fèsht' a spal'ièt' ku rash'tièll' I' fèmm'n' fann' kind' i shtruzz': nèskonn'n' a facch' p' n' ntèmènd'. E' Kól' L'rzitt', pèssat' a kulla:t' la:t' du tèppét' d' fók', av'z' i mèn' e dich' - A vi(je) du fòk t'da cu(e)raggh'! - Mèrìggh'sèpp' i kèrézz' i pièd' é zu magn' k' ll'uòkki(e).
I tèmburr' sòn'n' |
I giovani hanno strofinato le loro facce con la terra rossa del "Rio Majo" (Nome di un torrente), con il gesso bianco e con la fuliggine presa dal fondo del paiolo, si guardano in faccia l'uno con l'altro. Nicola L'rzitt' (un soprannome) si toglie i calzari (Si scalza). - Nicola, non lo fare - Gli dice Maria Giuseppa, la fidanzata. - Lo devo fare - Risponde Nicola. Si avvicina al fuoco, si fa la croce e comincia a camminare sopra i carboni ardenti che il Maestro di festa aveva disteso per terra usando un rastrello. Le ragazze fanno come gli struzzi: Nascondono la faccia per non guardare. E Nicola, passato all'altro lato del tappeto di fuoco, alza le mani e dice: La via del fuoco ti da coraggio. Maria Giuseppa gli carezza i piedi e lo mangia con gli occhi.
I tamburi suonano. |
Testo: Giuseppantonio Cristofaro
Programmazione HTML e fotografie: Walter La Marca