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della collina molisana
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Padre

ALESSANDRO CRISTOFARO

(Ripabottoni 28 Luglio 1921 - Campobasso 15 Novembre 2002)

Pietro Ramaglia insigne clinico

tratto da'
ARCHIVIO STORICO MOLISANO Anno IV/V - Dicembre 80/81.
Edito a cura dell'Associazione di Storia Patria del Molise

(Pagine da 171 a 175)


calma del giusto, quando sentì avvicinarsi l'ultima sua ora, guardò in viso alla morte, e continuò l'analisi clinica del suo morbo che lo consumava, con la meravigliosa lucidità della sua intelligenza.
Morì cristiano, a 73 anni, il 4 giugno 1875 (26).

«Illustre coposcuola napoletano»

Il Ramaglia, ingegno «eminentemente pratico ed osservatore», prima volse l'acume della sua mente all'insegnamento e poi alla pratica civile: «Crear la vita intellettuale, riordinar la fisica, combattere l'errore che uccide lo intelletto, come i morbi che uccidono l'organismo, ecco i vastissimi campi in cui trovava riposo la filantropia dell'illustre professore» (27) .
I tempi di Ramaglia - ripetiamo - per la medicina erano «infelici», perché fervevano lotte «accanite», tra Brown e Rasori, i quali si perdevano «tra sofismi ed arzigogoli, tra ipotetiche congetture e pericolose deduzioni». Erano «noiose diatribe di accademie». Grande pompa di parole e povertà di concetti (28). La giovane mente di Ramaglia, che era pur dotto in filosofia, si ribellò di fronte a quelle



(26) Modeste nell'esteriorità, le esequie furono imponenti in se stesse, con la partecipazione, quasi al completo, del corpo medico e di tutti gli altri egregi giovani professori insegnanti e pratici, di mille e più studenti medici, e di cittadini chiarissimi, di amici e di ammiratori del Ramaglia. (E.F.), nella sua corrispondenza, inviata alla Gazzetta della provincia di Molise (n. 26), dopo il riassunto dei vari elogi pronunziati da insigni uomini, esprime il desiderio di vederli raccolti e pubblicati. Desiderio - per quanto è a nostra conoscenza - non realizzato. Si dice anche sicuro che il Consiglio provinciale e il paese nativo dell'illustre estinto sapranno rendere pubblica testimonianza di ammirazione all'uomo che portò a tanta altezza il nome sannitico, con monumenti pubblici. Se non siamo male informati, non si fece nulla. Parecchi anni dopo si appose soltanto una modesta lapide per indicare la casa dove nacque: In questa casa - nacque - Pietro Ranraglia - sommo clinico - dell'ateneo napoletano - Il Municipio di Rilabottoni - pose - 1906 e gli si intitolò una via del paese. Qual «memoria perenne di sue sembianze» esiste solo un busto marmoreo, che i discepoli, all'insaputa del maestro e parecchi anni prima, fecero scolpire e che «condotto da maestra mano tutto riassume il carattere della sua fisionomia calma, serena e dall'occhio irradiato dal sole della scienza» (Limoncelli G., art. cit.).
(27) Limoncelli Giovannangelo, art. cit. (28) Cf. Capozzi Domenico, Poche parole..., p. 4.

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«stranissime ed eccentriche scuole», che traviavano le menti dal retto sentiero delle discipline mediche; non imboccò gli strani sentieri delle speculazioni filosofiche, che conducevano a «capricciosi e arditi voli» e rispolverò l'opera classica del Morgagni: Cagioni e sedi dei morbi (29). Analitico e sintetico, stimò valere più gli uomini che le accademie; scese nell'agone quando i sistemi «si accapigliavano furiosi», rifiutò le ipotetiche teorie vitalistiche, seguì l'indirizzo ippocratico, illuminato dalla ragione: un organismo disordinato nelle sue funzioni è disordinato nella intima tessitura; e innestò lo stile della scuola greca alla moderna naturalistica.
Si rivolse con ardore all'anatomia, perché in essa solamente trovava nozioni chiare e positive:«Più tardi la lettura dei più insigni medici ippocratici [...] gli fece manifesto che esisteva una patologia, la quale non immaginava punto nei morbi un'equazione di più e di meno, un'eccitabilità in eccesso o in difetto, uno stimolo o un controstimolo; ma vi scorgeva l'organismo, che alterato nella sua struttura doveva ancora mostrarsi disordinato nella funzione. Questo vide il Ramaglia, e comprese che la vera medicina si doveva apprendere presso il letto dell'infermo e sulla tavola anatomica. Epperò, mentre la più parte dei suoi contemporanei si chiudeva nei gabinetti e discettava nelle accademie, egli di giorno e di notte, con incredibile perseveranza, passava lunghe ore nelle corsie del grande ospedale degl'Incurabili o nei teatri anatomici [...].
La via per la quale le scienze mediche oggi camminano, è certamente quella che il Ramaglia additava ai suoi giovani allievi. Queste scienze oramai hanno percorso lungo cammino [...]. E il Ramaglia, malgrado infiniti ostacoli e gravi opposizioni di scuole e di sistemi, fece rivivere presso di noi la memoria del Morgagni, rendendo familiare ai giovani il libro del sommo italiano»
(30).
Il Ramaglia, antesignano della scuola moderna napoletana, si distinse in clinica - meta ragionevole di tutti gli studi medici, perché per essa le scienze mediche si rendono veramente utili all'umanità; ma fu anche un valoroso anatomico ed ammirato maestro di


(29) Cf. De Sanctis Tito Livio, Discorso letto nella casa del defunto, in Gazzetta della Provincia di Molise..., n. 26. Il De Sanctis era professore di patologia chirurgica nella università di Napoli. (30) Capozzi Domenico, Poche parole..., p. 4.


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anatomia descrittiva, ma il suo maggior impegno lo spese all'anatomia topografica, branca che riguarda più da vicino la clinica: «Prima del Ramaglia l'anatomia topografica era soltanto in onore appo i chirurgi, siccome guida al dito ed al coltello nelle più intrigate operazioni; ma egli immaginò un'anatomia topografica, la quale specialmente servisse alla clinica medica, e fosse luce all'osservatore nella malagevole ricerca della sede delle malattie. Egli si propose l'arduo problema di rendere come trasparenti gli organi e i tessuti, di guisa che segnata una regione alla superficie esterna del corpo, l'occhio vi potesse penetrare addentro, fino negli strati più profondi» (31).
Agli studi di anatomia topografica, il Ramaglia accoppiò quelli di anatomia patologica, con lo stesso scopo di servire alla clinica:
«Per la qual cosa nel gabinetto di anatomia patologica da lui fondato, vicino al pezzo anatomico si legge la storia clinica della malattia» (32).
Non era uno studioso solitario il Ramaglia; attendeva «a solitari e severissimi studi», ma nel contempo educava all'osservazione «numerosi e valorosissimi» giovani, che dalla cattedra, con l'esempio e con i loro scritti avrebbero continuato l'opera dell'esimio riformatore (33).
A quei tempi, accanto all'Università, in Napoli e province, fioriva «lussureggiante», l'insegnamento non statale e le scuole private «erano padrone del campo» e tutto ciò ch'era di vivo e di nuovo nella cultura nazionale - afferma il De Sanctis - si era in esso rifugiato: «I giovani accorrevano dove il livello degli studi era più alto e i principii più larghi [...]. Ai maestri non era lecito addormentarsi sul loro passato e ripetersi, incalzati da un'onda continua di emuli, larghi promettitori e in mezzo a mobile gioventù, la stipendiatrice e di non facile contentatura» (Saggi critici, vol. II, p. 144)


(31) ivi, P.5.
(32) ivi. «Ora - afferma, e pensiamo con amarezza, il Capozzi nel giorno della morte del Ramaglia - tal gabinetto giace polveroso nell'Ospedale di S. Maria di Loreto, ma in altri tempi destò l'ammirazione del Dupuytren, dell'Esquirol e di quante celebrità mediche in quei tempi visitavano le nostre contrade. Per verità oggi la medicina ha tanto progredito, un gabinetto di tal fatta è opera comune e dei paesi più civili; però doveva ben sembrare cosa degna di essere ammirata, allorché il Ramaglia ideava e poneva in atto l'utile disegno» (ivi).
(33) ivi, p. 4.(21) Le pagine citate nel testo si riferiscono alla già citata opera di Luigi Alberto Trotta, Della vita e delle opere..., Modena 1881. Cf. anche dello stesso, Domenico Trotta di Toro, in Albino Pasquale, Biografie e ritratti degli uomini illustri della Provincia di Molise, vol. II, Campobasso 1865, pp. 142-162.


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E furono scuole fiorenti, tra le altre, quelle di giurisprudenza degli studi letterari e scientifici, e nel campo della medicina quelle di Costantino Dimidri, Pietro Ramaglia, Marino Turchi e Salvatore De Renzi. (34)
Creata la nuova Università, formata in gran parte dall'aristocrazia stessa degli studi privati, quei maestri che avevano educato le nuove generazioni, portarono nel loro insegnamento oltre la scienza anche il prestigio morale e continuarono ad essere «non solo e ancora maestri, ma educatori» (35).
Nella riforma universitaria del De Sanctis, nell'organico della facoltà di Medicina al prof. Pietro Ramaglia fu assegnata la docenza dell'Anatomia patologica: «Alla cattedra di Anatomia patologica - a cui era stato chiamato il venerando Pietro Ramaglia, il maestro privato di cui era stato alunno anche il De Meis, e poi Luigi Amabile, lo storico di Campanella -, era stato annesso il vecchio gabinetto di Anatomia patologica, il quale però si avviò a diventare un Museo di prim'ordine, qualche anno dopo, quando nel 1865 il professore Ottone Schrôn ne prese la direzione, coadiuvato da valenti come l'Armanni, il D'Antona, il De Vincentiis» (36).
La scienza progrediva di anno in anno e Ramaglia «con ansia febbrile le ha corso dietro sino alla ultima parola scritta in recenti lavori tedeschi, italiani, o di altre nazioni» (37). Era incantevole «sentire quando questo vecchio clinico parlava delle ultime ricerche fisio-patologiche, e delle recenti dottrine; ma ispirava poi una religiosa venerazione, quando con serena e sublime critica le commentava ed illustrava. Fiero sempre della scuola italiana, egli reverente accettava il vero delle scuole straniere; ma si accendeva di santa ira, quando vedeva accettarsi tutto servilmente e senza discussione» (38).
Amico della studiosa gioventù, l'amò con trasporto paterno e ne fu riamato fino al fanatismo; la sua scuola era sempre affollata.

(34) Cf . Zazo A., L'ultimo periodo borbonico, in Storia della Università di Napoli, scritta da Francesco Torraca-Gennaro Maria Monti-Riccardo Filangieri di Candida-Zazo Alfredo-Russo Luigi, Napoli 1924, p. 588.
(35) Cf. ivi.
(36) Cf. Russo L., La nuova Italia, in Storia dell'Università di Napoli..., pp. 603,629.
(37) Cf. Biondi prof. Giuseppe, Poche porole dette sul feretro dello illustre Pietro Ramaglia, [Napoli 1875], p. 5s. i8 ivi.

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Positivo nelle ricerche, rigoroso analizzatore,logico sottile, originale e sicuro nel giudizio, possedeva eleganza di eloquio, congiunta a chiarezza e facilità. Le sue doti brillanti di docente e l'esercizio della professione con tanto splendido successo, crearono attorno a lui una «scuola rigogliosa di medici chiari»: «Nella sua scuola accorreva numerosa la gioventù, dedicata allo studio della medicina, e nella maggior parte ch'oggi sanno e sentono la dignità di Medici nelle province meridionali, furono suoi discepoli» (39).
Occupò la cattedra universitaria di Anatomia patologica, di cui era fondatore, - i nuovi tempi fecero omaggio al suo sapere, e lo si riconobbe con riverenza - sino a quando la salute fisica glielo permise e poi, ancorché le forze intellettuali fossero esuberanti, volle dimettersi, e fu sua gloria. Lieto di far ritorno alla indipendenza della vita privata ed ai suoi infermi, «tra le altre ragioni, che taccio, per le quali egli abbandonò la nobile palestra, vi fu la invincibile avversione che egli avea di farla da giudice, vuoi negli esami, vuoi nei concorsi, e quell'avversione si appuntava nella bontà del suo animo schivo di cagionare a chicchesia il più lieve dispiacere, e nella convinzione che nessun giudizio vero ed esatto possa trarsi dalle idee di chi formula nella convulsa ansietà di un giudizio, che deciderà dell'avvenire della sua vita» (40).

«Profondità di dottrina, originalità di pensiero»

Il Ramaglia scrisse poco, perché quei «beati ozi», indispensabili allo scienziato che vuol parlare alla storia, egli non ne disponeva, sempre pronto per un conforto ed una parola amica e faconda a chi, vittima di un morbo, a lui ricorreva, fiducioso di un lenimento al dolore nelle sue prescrizioni.
ll Capozzi aggiunge, oltre al tempo non disponibile, quella «eccessiva naturale trepidazione di noi italiani», per cui «amiamo meglio essere che parere, e nei quali difetta l'abituale arditezza, che spesso è invidiabile virtù delle nazioni vicine» (41).

(39) Pretavalle dottor Pietro, art. cit.
(40) Limoncelli dottor Giovannangelo, art. cit.
(41) Cf. Capozzi prof. Domenico, Poche parole..., p. 6'


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